Eremo di Camaldoli

La storia di Camaldoli ha inizio pochi anni dopo la fatidica ricorrenza del Mille ed è legata alla figura di San Romualdo, monaco ravennate che predicò la Regola di San Benedetto. In viaggio verso la Badia di Santa Trinità, situata alla pendici del Pratomagno, fece sosta attorno al 1012 in una radura non lontana dal crinale appenninico. Lì, affascinato dalla solitaria bellezza della foresta e stimolato dalla concreta possibilità di edificare un ricovero per i pellegrini e i viandanti che frequentavano la zona, decise di edificarvi un eremo. L’Eremo fu consacrato nel 1027; nel 1080 l’ospizio divenne il Monastero. Fin dall’inizio della sua plurisecolare storia Camaldoli divenne un esempio tra i più significativi di come la gestione monastica abbia contribuito alla conservazione e alla propagazione di valori ambientali e naturalistici. Già nel 1080 Rodolfo, quarto priore dell’Eremo, codificò le consuetudini di vita della comunità dei Monaci Eremiti di Benedetto e Romualdo nel primo di quei Codici Camaldolesi che rivelano questi religiosi come solerti custodi e sensibili curatori del patrimonio forestale: carichi di tensioni mistiche e spirituali, ma anche attenti ai numerosi problemi tecnici, economici e sociali che la conservazione di quel patrimonio comportava. Nel 1520 la tipografia del Monastero stampò la Regola di Vita Eremitica: non si tratta di norme redatte solamente per disciplinare il lavoro, ma di parte integrante della Regola di Vita. La conservazione e l’arricchimento della foresta erano vissuti come atto d’amore verso la natura e il suo Creatore. In seguito, a partire dal XVI secolo, l’attività selvicolturale assunse caratteri in maggior misura volti alla produzione di legname, pur mantenendo una costante attenzione alla salute del bosco. I principali cambiamenti interessarono la composizione forestale: l’abete bianco era privilegiato – e bellissime abetine cingono ancora il Sacro Eremo – per il suo valore economico ma anche perché simbolo di sapienza e di altezza in meditazione.

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